giovedì 25 aprile 2013

Parola data



La folla numerosissima era sotto il Palazzo del Governo. Le cronache avrebbero raccontato ai posteri che più di cento milioni di persone erano accorse per festeggiare la fine della crisi. Le persone erano arrivate da ogni parte dello Stato. Chi era arrivato a piedi, chi in auto o in treno. Altri ancora, in aereo o nave. Nessuno voleva mancare al grande giorno. La notizia si era sparsa pochi giorni prima, il Governo del Paese aveva finalmente comunicato che la crisi era finita e una nuova stagione di benessere stava per iniziare.
Nei mesi precedenti, tutti i giornalisti e le televisioni avevano raccontato delle crisi del passato. Avevano raccontato di uno stato dove un dittatore perfido dava solo un pugno di riso ad ogni suo cittadino, mentre lui viveva nell’agiatezza. Avevano parlato di molti stati dove i dittatori lasciavano morire di fame i cittadini, mentre loro acquistavano armi per fare la guerra. Avevano parlato di stati africani molto ricchi ma in mano a pochi perfidi tiranni. I professori universitari tenevano quasi tutti i giorni lezioni sulle crisi economiche del passato. Anche i social networks e i media indipendenti, ne avevano parlato lungamente. Fino all’anniversario del secondo anno di crisi, poi erano stati chiusi. I Governanti sostenevano che già troppe bocche da sfamare erano un bel peso, figurarsi troppe bocche, collegate ai rispettivi cervelli, che volevano parlare. Quindi, da ormai otto anni, solo i media governativi potevano parlare delle mille disgrazie e di molte scelte sbagliate, fatte dai governi precedenti, si capisce. Ma nessuno aveva mai perso l’ottimismo, questa volta i  governanti avrebbero risolto il problema.
Si accesero le luci del palazzo, i governanti finalmente erano pronti per parlare al popolo. Finalmente avevano trovato la soluzione alla crisi. Gli ultimi mesi erano stati molto difficili, sicuramente i più difficili e drammatici dall’inizio della crisi. Mentre il popolo aspettava solo la soluzione della crisi, a bocca aperta così magari una mosca sarebbe entrata nella bocca di qualcuno. Gli stessi governanti erano cattivi tra di loro, chi voleva fare il sottosegretario, chi non voleva avere incarichi ma comunque voleva potere. Chi ancora sperava nella morte di qualcuno per prendere il suo posto. Mentre il popolo aspettava, a pancia vuota, che qualcuno riempisse il vuoto delle loro pance, i governanti dovevano lottare anche tra di loro. Ma questo il popolo non lo sapeva e non poteva capire il peso delle responsabilità.
Un brusio iniziò a diffondersi dalle prime file della piazza. Pian piano, nel giro di pochi minuti, l’enorme piazza presidenziale era un mercato di voci e speranze. Tutta la nazione era in attesa. Si accesero gli altoparlanti e il megaschermo nuovo, comprato con le ultime riserve d’oro, tutti si zittirono. Passarono pochi interminabili secondi, solo qualche zanzara, con il suo fastidioso ronzare, interruppe il religioso silenzio del popolo affamato.
Uscì dalla porta uno dei governanti, il silenzio si fece ancora più silenzioso. Cento milioni di bocche erano spalancate davanti a lui, cento milioni di paia d’occhi erano sgranati ad osservarlo. Nessuno lo riconobbe, qualcuno non ci provò neanche. Altri dissero che era uno nuovo, ma un vecchietto fece presente che i governanti non potevano cambiare se non per volontà del popolo. Un giovane gli disse “taci vecchio, i governanti cambiano quando vogliono loro.” Il vecchio si rintanò in un silenzio offeso. La maggior parte del popolo, riconobbe in quel governante molti governanti. Sembrava la sintesi di tutto il congresso. Aveva i capelli di un governante, l’accento di un altro governante e la pancia di un altro ancora. A guardarlo bene, somigliava a tutti i governanti. Ma il popolo pensò che era colpa della fame. Il governante aspettò qualche minuto e poi parlò: “Glorioso popolo, c’è da mangiare per tutti… Noi” Il popolo entusiasta applaudì fragorosamente e ringraziò dio per avere dato quei favolosi governanti. Il governante aveva volutamente aspettato di pronunciare la parola NOI. Appena il popolo sentì le parole “Glorioso popolo, c’è da mangiare…” non aspettò a festeggiare e così di perse quell’ultima parolina, quella semplice e innocua parola che escludeva dal cibo tutti tranne il governante, i governanti. Il governante non ripeté le sue parole, se ne guardò bene. E non aggiunse neanche che lui era tutti i governanti, lui personificava tutti i governanti. Perché ormai le povere riserve dello stato non potevano che sfamare un solo governante, così qualche giorno prima, i governanti si presero a mangiarsi tra di loro e quello che ora appariva davanti al popolo era la sintesi di tutti i governanti. Non disse nulla di tutto questo, anche se avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, il popolo avrebbe applaudito e gioito all’infinito.
Dopo aver ringraziato il popolo per la pazienza portata in quei dieci lunghi anni, mostrò alla piazza un capretto, l’ultima riserva. Omettendo il fatto che era l’ultima fonte di cibo rimasta in tutto lo stato, perché lo aveva già detto al popolo, ma il popolo non lo aveva sentito per via degli applausi. Prese per il collo la povera bestia e la addentò. Il capretto, l’ultima riserva di tutto lo stato, emise un flebile lamento interrotto dal fragoroso applauso del popolo. Tutti capirono che era iniziata una nuova era. Il governante, cioè tutti i governanti, mangiava per primo ma ce n’era per tutti. Il popolo amava il suo governante, i suoi governanti, il popolo era salvo grazie a loro. L’enorme governante, la sintesi di tutti i difetti di tutti i governanti, in pochi minuti divorò la povera bestia con una avidità e rapidità tipiche di chi è abituato a far sparire le prove. Stava ancora masticando l’ultimo boccone, si pulì la bocca dal sangue della bestiola, salutò il popolo e non fu più visto.
Per molti giorni la piazza rimase ferma e immobile, tutto il popolo aspettava altre parole del governante, i governanti. Ma nulla fu più detto e la fame cresceva.
Quel popolo oggi non c’è più, si è autoeliminato. Quelle persone, quelle cento milioni di persone, si sono mangiate tra di loro. Prima furono mangiati i vecchi e i bambini, cioè gli indifesi. Poi fu la volta delle persone più gracili e degli ammalati. Poi, infine, i sani e forti si mangiarono a vicenda. E non servì essere della stessa religione o avere le stesse idee, quando il popolo iniziò ad autoeliminarsi, per mezzo del cannibalismo, centinaia di anni di evoluzione se ne andarono in fumo. Lo stato era ormai una giungla. Il popolo tornò animale, ignorante lo era già diventato quando lasciò fare alla classe politica. Pare che il governante, i governanti, andò in un altro stato e ancora oggi comanda ed è a pancia piena.

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