lunedì 10 ottobre 2016

La città più segregata d' America

Visto che si stanno avvicinando le elezioni americane e vista la mia passione per quel mondo - venerdì torno con un live di American Ciacoe - oggi vi propongo una parte di un articolo che in versione completa trovate qui: repubblica.it/lacittapiusegregatadamerica.
L'articolo parte da una intervista fatta a T. R. German Jr., uomo nero di 82 anni, discendente da schiavi: Durante una visita in ospedale, ha incrociato un anziano bianco con i suoi nipoti. Alla sua vista, uno dei bambini, di quattro anni, dice: 'Ciao negro', usando il termine dispregiativo che si usava negli Stati Uniti fino alla conclusione ufficiale della segregazione razziale negli anni '60.
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"Ci sono persone, nere e bianche, detenute all'epoca della segregazione. Credono che ci sia qualcosa di male nell'altro", lamenta German, testimone diretto dell'evoluzione dei diritti degli afroamericani. 
Pensa te, è il nostro cervello che determina tutto. La più grande arma di distruzione di massa.
Aveva 28 anni quando la sua città, Birmingham (Alabama) diventò l'epicentro della lotta dei neri per ottenere pari diritti. Era il 1963. Lavorava al servizio postale, dopo una parentesi nell'Esercito, in cui rimase per 25 anni. L'attentato dei fondamentalisti bianchi contro una chiesa nera, che uccise quattro bambine e in cui ora è volontario, e la brutalità della polizia nei confronti dei manifestanti neri, che venivano attaccati con i cani, furono determinanti affinché avanzasse il movimento dei diritti civili.
Birmingham fu definita la "città più segregata d'America": bar, parchi e appartamenti separavano bianchi e neri. Nei pochi luoghi in cui si mescolavano, per esempio in qualche teatro, i neri entravano da una porta secondaria e si sedevano in una zona isolata.
Erano universi paralleli. German è cresciuto in quel mondo e non poteva immaginare che le cose potessero cambiare. "Non c'era nessun contatto", spiega in un'intervista nella chiesa dell'attacco, quella battista della XVI Strada. "Sapevi quello che non potevi fare", dice. Ricorda ancora l'arbitrarietà della polizia, che poteva colpire un nero a prescindere da quello che faceva.
Fortunatamente lo cose sembrano cambiate, perché, a distanza di mezzo secolo: la sua famiglia è lo specchio dell'enorme evoluzione avvenuta. Ha due nipoti, entrambi con un genitore bianco. "La gente, bianca e nera, si è resa conto che dobbiamo unirci", sostiene. Il suo migliore amico è bianco: "L'unica cosa che ci separa è il colore della pelle e la nostra capacità di sfruttare le opportunità"...  
Alcune riflessioni molto interessanti German le fa. La prima, sostiene che il sistema giudiziale sia in mano - controllato - dai bianchi e che difficilmente cambieranno i pregiudizi della polizia nei confronti dei neri. La seconda, accusa gli afroamericani di cadere nel vittimismo e sostiene che i neri non hanno lavoro perché non lo chiedono. 
L'articolo è molto bello, perché va subito al punto senza tanti fronzoli. Concordo con il vecchio German, degli ancora attuali problemi razziali negli Stati Uniti è colpa di tutti. Con percentuali diverse ma è colpa di tutti.

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